Danza Isadora Duncan!

Perché vi ho raccontato di Isadora Duncan? Navigavo in rete e sono stata attratta da una sua immagine. Quel volto in primo piano mi guardava negli occhi, era uno sguardo di sfida, ma anche un bellissimo sguardo volitivo, che sapeva di azione e di movimento. Questo è stato il primo contatto con la danzatrice e posso certo affermare che fu un amore a prima vista. Eravamo in primavera, lo ricordo bene. Quella stessa estate partii per un lungo viaggio a Parigi, non avevo dimenticato la Duncan e in quella città francese molto parlava e parla ancora di lei. Su qualche guida avevo scoperto che al numero 5 della rue Danton aveva vissuto Isadora. A Bellevue partorì il suo terzo figlio, concepito sulla spiaggia della Versilia – la mia Versilia, dove sono nata – con uno scultore del posto che lei chiamava dolcemente Michelangelo, ma dietro cui si nascondeva lo scultore fiorentino Romano Romanelli. Nel magnifico cimitero monumentale Père Lachaise ho percorso i vialetti ombrosi fino al Colombario e al reliquiario della Duncan, dove le sue ceneri sono conservate assieme a quelle dei suoi due bambini, con un fiore giallo sempre fresco che qualche segreto ammiratore va a cambiare quasi ogni giorno. Che cosa fosse già scattato non so spiegare bene, ma il giorno dopo in una vecchia libreria del quartiere latino, ho trovato la sua autobiografia del 1928, e una biografia scritta su di lei da un bravo autore francese; ho iniziato a leggere traducendo da quella lingua che conoscevo così poco. Da lì ho cominciato a documentarmi sulla sua vita raccogliendo con difficoltà documenti, libri, films. Una donna famosa, vissuta dal 1877 al 1927, grande ballerina, una delle pioniere della danza moderna, che danzava con una grazia incredibile per le strade di Parigi del ‘900, che si proclamava libera e che non voleva sposarsi, che danzava raccontando storie vere e proprie quando a quel tempo il solo balletto considerato ufficiale era quello classico. La danza di Isadora raccontava, attraverso i movimenti del suo corpo, i fregi dipinti sugli antichi vasi greci – quelle delicate figure esili di profilo che si tendono la mano – ma anche i passi delle gighe irlandesi – le sue origini sono irlandesi e la giga è un ballo popolare tipico dell’Irlanda. Lei era capace di una danza che esaltava i movimenti semplici del bambino, ma destinata a diventare ‘titanica’ come la diceva il suo compagno Craig – quel Gordon Craig (1872 – 1966) attore teatrale, scenografo, regista teatrale britannico – fatta di racconti veri e propri, con influenze della mimica, della pantomima, del teatro greco. Un modo tutto suo, a piedi nudi, al di fuori dell’Accademia, e da ogni regola impartita. Tutto questo mi affascinava molto e continua ad affascinarmi. Isadora desiderava portare la sua danza, i suoi racconti, nei più grandi teatri del mondo e così fece. Io amo il teatro, è stato il mio primo grande amore e quando ho conosciuto le imprese di questo personaggio non sono stata più in grado di staccarmene, non volevo staccarmene. Lei danzando raccontava la vita. Lei nel mio libro racconta la vita, la sua, ma quante altre vite potrebbero esservi racchiuse. Mi sono trovata a raccontare di lei danzando con la penna sul foglio, mi contagiava con i suoi virtuosi movimenti e mi lasciavo trasportare. Mi affascinava con quella esistenza dedita alla scoperta di un ballo nuovo che lei sognava universale. E poi la danza, quanto è amabile e essenziale disciplina di questa terra. E ditemi: non è forse un gioco di vita, danzare? Non è forse giocare a essere più grandi della vita stessa, e forse pensare di staccarsi dalla dimensione quotidiana volteggiando su di un palco? Danzare è un po’ come dimenticarsi la dimensione pratica, immergersi in una dimensione parallela dove poter governare ogni situazione. Danzare avvicina al cielo. Danzare è come vivere il gioco dell’esistere da protagonisti, su di un palcoscenico. Io credo che ogni ballerina di qualsiasi scuola custodisca un segreto prezioso dentro di sé: danzare è forse anche tentare di rompere le regole della propria esistenza per riapprodare al quotidiano dopo aver scoperto qualcosa in più di se stessi, qualcosa in più della vita stessa.

 

Isadora Duncan, di Sara Cerri, David and Matthaus ed, 2016

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