Pubblico i primi tre punti di un lungo articolo apparso qualche tempo fa in Vibrisse, mi piacerebbe sapere che cosa ne pensano i lettori. Aggiungo qui sotto il link per chi vuole leggere tutti i 7 punti raccontati da Mozzi: LINK a vibrisse, bollettino
Tutto ciò che si dice in questa noterella è approssimativo. L’abbondante uso di virgolette lo testimonia. (nota di Mozzi)
1 Per decidere di pubblicare un libro, un editore ha bisogno della sensazione di avere davanti qualcosa di compiuto, finito e dotato di senso. Nel caso dell’editoria cosiddetta “letteraria”, il romanzo o la raccolta di racconti o il lavoro poetico devono dare una sensazione di “coesione” e di “pienezza”: la sensazione di essere un’“opera”. Nella narrativa basata sull’intreccio, l’intreccio deve funzionare senza vuoti o attriti. Nella manualistica alla completezza delle informazioni devono aggiungersi la facilità di reperimento delle stesse, la chiarezza dell’esposizione, la definizione precisa delle competenze che si presumono già presenti nel lettore, eccetera. Nella saggistica, la presenza di una “tesi” o di una “costellazione di tesi” deve accompagnarsi a un’adeguata e ben mirata argomentazione. E così via.
2 Per decidere di pubblicare un libro, un editore ha bisogno di poter immaginare chi lo leggerà. Si tratta di un’immaginazione doppia, qualitativa e quantitativa. Qual è il lettore ideale di questo libro? Quali sono le categorie di lettori (i “target”) che potrebbero essere interessati a questo libro? Quanti sono, complessivamente, i lettori interessati o interessabili a questo libro? Qual è il lettore che il libro presuppone? E, simmetricamente: quali sono i lettori ai quali questo libro non può interessare, o addirittura può fare schifo? Eccetera.
3 Per decidere di pubblicare un libro, un editore ha bisogno di poterne immaginare la “durata”: per quanto tempo lo venderemo? Quando nel 1963 (se non erro) l’editore Hoepli pubblicava il libro di Livio Susmel Il canarino: allevamento, malattie, cure, forse non immaginava che nel 2014 lo avrebbe avuto ancora in catalogo (in questo preciso momento ufficialmente non è disponibile, ma pochi giorni fa ne ho vista una copia in libreria). Quando rifiutò Se questo è un uomo di Primo Levi (“Un altro libro sui campi di concentramento! Basta! Non se ne può più!”), o quando finalmente lo pubblicò nella collana dei Saggi (nella quale uscì anche Il diario di Anne Frank), l’editore Einaudi forse non aveva compreso la natura dell’opera: non aveva compreso che, oltre che una testimonianza, Se questo è un uomo è una grande opera d’arte; e certamente non aveva immaginato che, tra i tanti (effettivamente tanti) libri di memorie che si pubblicavano in quegli anni, Se questo è un uomo sarebbe durato più degli altri (per capirsi: la pubblicazione di Se questo è un uomo è la più grande e fruttuosa operazione commerciale della storia di Einaudi – me lo disse Roberto Cerati un po’ d’anni fa).