(…) La tua pancia era rotonda. Mi piaceva fantasticare con te su un piccolo volto, i capelli, la forma delle labbra, un nome. Tu non volevi che se ne parlasse troppo: «Quando la vedrò, solo quando la vedrò, saprò come chiamarla» dicevi, frenando ogni immaginazione.
Fantasticavo da sola, molte volte.
Mattia non era un nome da volgere al femminile, non avrei potuto proportelo per la tua bimba e sorridevo tra me.
Mi sentivo ancora fortunata ad aver conosciuto quell’uomo e ad aver sentito quell’esplosione nel mio cuore e nella mia testa. Io che sono stata per anni presente a me stessa, posso dire di avere provato un tale turbinio di sensazioni, quel maggio, e di aver lasciato uscire la mia fragilità senza paura di essere ferita, ma, anzi, lasciandomi andare completamente.
Mi sarei accontentata del ricordo? (…)