Di paesaggio in paesaggio, questo è il viaggio. Al ritorno me ne sto chiusa in camera mia, guardo il soffitto, rivedo certi angoli dei luoghi visti, sento il loro odore, il mare che entra dentro al mio naso, rifugiandosi in un ricordo tanto piacevole, indimenticabile perché amato. Sono merletti, i viaggi: punti larghi e stretti di un centrino di una volta, fissato nella testa per rimanere tanto a lungo. Non scatto quasi mai foto, preferisco lasciare ai miei occhi la porzione di cielo, o di un monumento, di ciò che ho di fronte visto dalla mia angolatura. Gli occhi, in seguito, mentono, colorano i ricordi con sbavature mielate, aggiungono colori, forme esili o più consistenti, ma fanno in modo di non tralasciare niente di ciò che è stato, o almeno di lasciartelo immaginare corredato di nuovi profili, arricchiti dei profumi, delle forme delle nuvole nel cielo, di tutto quello che diviene leggera nostalgia. Al ritorno dal viaggio, se il ritorno avviene di notte, in un aereo che si solleva in volo a luci spente per farti incamerare tutto ciò che avviene dentro (una musica leggera, il timbro di una voce, l’orrido gusto di un panino servito) è più facile riprendere a vivere, tuffarsi nella quotidianità, apprezzare tutto ciò che avevi lasciato, vestirlo con nuovi sguardi.
Andare e tornare è uno dei miei amori, che non mi abbandona, che sta racchiuso dentro di me come le cose nel mio amato trolley: ascolto il suono delle sue ruote sul pavé, sintomo di nuovi ritorni e prossime partenze.